Taos in Noi

Il titolo di questo post ricalca quello di un noto libro sui gatti, The Cat Inside, per ragioni che credo saranno comprensibili…

Ho conosciuto Taos dagli scritti di Natalie Goldberg, didatta, poetessa e scrittrice statunitense che proprio in questa cittadina del New Mexico risiede e lavora.

La Goldberg è nota in Italia per il suo best seller Scrivere Zen (in originale Writing Down the Bones Freeing the Writer Within, 1986): a rigore un “manuale di scrittura creativa”, che in realtà è molto di più. A parte questo caso editoriale isolato, la sua nutrita produzione è in Italia totalmente inedita, essendo costituita da testi che in effetti non avrebbero alcun senso qui da noi. Ma resta questo suo capolavoro, tra le cui pagine Taos è celebrata come vero e proprio luogo dell’interiorità più profonda.

Uno scorcio che dovrebbe essere qualcosa di vicino a Taos, o Santa Fè.

Ebbene, io credo che ciascuno abbia la propria Taos. Può essere un luogo reale, del presente o del passato. Oppure uno stato della mente, un gattino che accoglie le nostre coccole casalinghe (come il qui presente Merlino), e via discorrendo. Taos, nella descrizione che ne fa la Goldberg, assume la valenza di un ritmo, di un mondo di sensazioni allineate a noi stessi.

Questo è Merlino, gattino carino…

La grande missione è renderci simili a noi stessi. O meglio: rendere il nostro mondo, o anche solo parte di esso, sufficientemente somigliante a quella parte di noi che per forza di cose non ha potuto conservarsi identica nella bieca quotidianità che ci circonda.

Taos riporta l’amore nel nostro presente: è la città dove possiamo tornare a sfogliare i libri cartacei di un tempo.

(Probabilmente Merlino è associabile più all’estetica vittoriana che a quella dei cactus e dello yerba mate, ma questa, come dire, è un’altra storia…)

The English Illustrated Magazine – 1889-1890

Sei tu Merlino?

Ho Iniziato un Corso di Creative Nonfiction

Ho iniziato un corso di creative nonfiction. Non so precisamente perché ho deciso di seguirlo; si tratta di un corso esclusivamente online, fatto di lezioni abbastanza brevi, di otto, dodici minuti ciascuna, o anche meno in certi casi. Il corso in generale non mi sembra particolarmente illuminante, o capace di consegnarmi chiavi metodologiche radicalmente determinanti per schiudere chissà che prorompente creatività. Ma per certi versi lo sto apprezzando proprio per questo: non dice troppo, ma spinge ad approfondire da sé, ovvero ad andare più in profondità nella pratica della scrittura.

La docente, Julia Bell, non è Natalie Goldberg. La prima è chiaramente un prodotto della contemporaneità a base di social e smartphone. La seconda è un mito che ho conosciuto attraverso il suo capolavoro (cito il titolo italiano) Scrivere Zen (1986). Ma questa distanza è colmabile, come ho detto. Sono io che devo colmarla, attraverso l’aggiunta di farina del mio sacco. Il corso in quanto tale funziona come una sorta di catalizzatore, ovvero di routine che mi spinge all’azione.

L’inerzia mi rende pigro. Molto pigro. Un corso come questo costituisce l’ottima occasione per rimettermi in moto.

Detto questo, ci sono alcune considerazioni che vorrei fissare, derivanti appunto dall’attento ascolto delle prime lezioni.

  1. La scrittura è un fatto di attenzione; nello specifico, di una forma di attenzione che procede per intensità e profondità. Essere attenti significa andare oltre le pure apparenze, prendersi del tempo per cercare e ricercare.
  2. La scrittura è un fatto di azione diretta, di manualità.
  3. La scrittura è riconoscimento della propria voce, in un procedimento che però sia di volta in volta tale da superare dei confini per accedere a nuovi livelli di consapevolezza e di utilizzo concreto della scrittura stessa. (Questo aspetto è complicato da gestire, ma da qualche parte bisogna pure iniziare.)
  4. L’arte in generale, compresa la scrittura, è un processo che somiglia alla digestione. Gli elementi da digerire sono vari, e spesso eterogenei. Questa cosa a dire il vero la sapevo, visto che le mie fonti di ispirazione sono sempre state diverse e non solo letterarie: penso alla musica di Brian Eno e John Zorn, oppure all’arte figurativa, tanto per citare qualche goccia nell’oceano. Però sentirselo dire in un corso assume un valore diverso, direi programmatico.
  5. Continuando dal punto recedente, c’è da dire che il processo di digestione può somigliare anche a un rimbalzo concettuale da A a B, e da B a C, laddove C può essere un’opera che nessuno immaginerebbe mai essere derivata da A. Questo aspetto è molto vicino alla letteratura.

La domanda successiva è: come utilizzerò tutto questo?