Uso dei Nuovi Social

Ho recentemente scritto due articoli credo interessanti nel mio nuovo blog Non Euclideo. Riguardano due social molto attuali, legati — anche se in modalità diverse — al grande mondo della decentralizzazione.

Ora si tratta di capire come usare tutto quello che non appartiene a questo novero, ammesso e non concesso che sia opportuno usarlo.

💡 Questo stesso blog (Vivaldi Community), potenzialmente “da disciplinare”, potrebbe essere inteso come succursale ludica del pensiero. Mi piace l’idea di un luogo dove scrivere come se fossimo ancora nel Web 1.0…

Blogging Tarot

A cosa serve un blog?

Me lo sono chiesto spesso, soprattutto in ragione delle tumultuose trasformazioni che hanno trasformato il Web da luogo libero per addetti ai lavori a caos del social networking.

Tendenzialmente, la “forma blog” è un mezzo testuale, ipertestuale e multimediale per restituire una comunicazione ad alto grado di aggiornamento continuo rivolta a comunità di lettori più o meno vaste. Essendo quindi un sostanziale diario pubblicato in tempo reale, il blog è per definizione una morfologia in progress, che ripropone elettronicamente l’analogo funzionamento di un giornale, di un magazine, di una pubblicazione seriale.

Il progressivo spostamento dell’attenzione globale dal blogging puro alle grandi piattaforme — come Twitter/X, Facebook e Instagram, TikTok e affini — ha evidentemente trasformato lo scenario, non già distruggendo, ma di fatto commercializzando i blog, che sono praticamente diventati delle testate giornalistiche specializzate, oppure degli e-commerce affiancati da news ad hoc.

Rimane però la domanda, specie se associamo il blogging alla scrittura personale, come avveniva appunto a inizi anni Duemila o addirittura prima (si pensi a pionieri come Justin Hall): a che serve oggi un blog tenuto direttamente da uno specifico autore?

One-to-many… Esattamente questo è il punto. Un singolo individuo comunica cose ad ad altri, sostanzialmente sconosciuti. A parte la dimensione editoriale cartacea — giova ricordarlo, ormai caratterizzata da un continuo declino — a che serve tutto questo? Evitiamo di citare generosità, gratuità, bontà e altre scemate. Se è vero che tutto questo esiste, e ci mancherebbe, è anche vero che tutto questo non può essere orizzontalmente rivolto alla generica utenza del Web. Quindi resta la questione di fondo: dobbiamo capire per quale ragione sia ancora sensato tenere un blog, visto che la risposta sembra tutt’altro che banale,

Formulare una domanda…

Il problem solving è legato indissolubilmente al problem setting. Più un problema è definito, più la sua soluzione discende naturalmente dai ragionamenti — lineari o creativi — che dal problema derivano, se solo sappiamo indirizzare efficacemente le nostre energie.

Mi capita quindi sempre più spesso di indirizzarmi a domande complesse, che necessitano di metodiche altrettanto particolari, in grado di mescolare efficacemente razionalità calcolatrice ed energia creativa, euristica, divergente e convergente. Domande che formulo attraverso veri e propri viaggi intellettuali che implicano percezioni alternative e altrettanto alternativi strumenti di frameworking, tra i quali anche i Tarocchi.

Che dire: ho formulato la mia domanda, ho pescato la mia carta, e ho dato infine la mia risposta…

Stop WordPress

Molto banalmente, ho eliminato il mio blog WordPress (com). L’ho eliminato completamente, definitivamente, in quanto la casistica generale lo identificava nella classica intersezione vuota, ovvero ridondante. Un doppione, che tenevo solo — motivazione piuttosto esile — perché aveva un rapporto automatizzato con Tumblelog e svariati altri siti. Ossia, mi inviava direttamente il post altrove.

A parte questo dettaglio, il nulla.

Se devo scrivere cose professionali, so dove scriverle, e non si tratta certo di siti personali. Se invece devo scrivere di argomenti professionali in siti personali, la scelta è abbastanza standardizzata: o i miei social network (in primis X, e di seguito BlueSky e Mastodon Social), oppure Medium.

A rimanere è solo questo blog. Oppure il mio tumblelog.

Credo di aver fatto la scelta più giusta.

Sulla Natura del Tumblelogging

Essendo un blogger da quando esistono i blog, non potevo non essere anche un tumblelogger da quando esistono i tumblelog. La definizione allude a un’idea piuttosto semplice: ibridare il blog col microblog, mettendo in relativa discussione la longform a favore di una compilazione che privilegia il ritaglio, la forma breve, il multimediale spinto, l’espressione puntuale e non quella lineare o troppo lineare.

Ovviamente siamo in un territorio estremamente flessibile. Ci sono comuni blog che accolgono tranquillamente morfologie simili a quelle del tumblelog, e viceversa, quindi alla fine della giostra ciò che conta è lo stile risultante, che nel caso di Tumblr — la principale, se non unica piattaforma che tratta tumblelog — credo sia piuttosto riconoscibile.

Ad oggi, il mio tumblelog — Phil Log Book, titolo che segue alcune ispirazioni da Austin Kleon (a sua volta tumblelogger) — non rientra nel novero dei miei luoghi web più aggiornati. Lo uso essenzialmente come piattaforma per rilanciare automaticamente contenuti che scrivo in WordPress (che credo possieda anche Tumblr, da cui l’integrazione). Non so perché. Probabilmente ho la sensazione che Tumblr abbia una comunità così vasta da non essere neppure comunità. Mi spiego, anche se si tratta appunto di un sentore, di una percezione…

Scorrendo lungo il feed dei tumblelog che di volta in volta seguo (credo per ragioni meramente estetiche), mi rendo conto che dietro quei siti ci sono persone senza volto, compilatori quasi automatici che rilanciano e rilanciano foto, GIF animate, appunto ritagli, poesiole e disegni che alludono a insight così istantanei da risultare totalmente autoreferenziali. I contenuti sembrano non arrivare da alcun luogo, e non portano ad alcun luogo…

La comunità di Tumblr ovviamente esiste, ed è oceanica, dilagante. Ma è una comunità che agisce come un ente indifferenziato e inconoscibile. Una pura reazione amplificata a dismisura dal Web.

Eppure lo strumento esiste, ed è potente. Troppo potente per non dedicargli un uso specifico. Quindi sì, mi sono messo a elaborare una teoria del tumblelogging in grado di conferire significato pratico al suo uso deliberato come piattaforma di espressione.

Quindi che dire: mi vedrete su Tumblr, sempre di più…

Dalla Decadenza al Web Consapevole (BlueSky e Mastodon)

Like 1999…

L’idea principale del primo Web (quello che chiamavamo uno punto zero, e che, diciamocelo, era il migliore sul piano della comunicazione) ruotava attorno a un’affermazione implicita: là fuori c’è un mondo da scoprire… Sottotesto: un mondo che vale la pena esplorare. Ci sono storici blogger che ancora amano “bloggare come nel 1999”, usando un’espressione del grande Dave Winer.

Oggi come oggi questo postulato si è ribaltato. Il Web non è più nelle mani di un ristretto numero di addetti ai lavori, per definizione (suvvia, è una definizione ovvia) intelligenti e creativi, ma nasconde frustrazioni, analfabetismo funzionale celato da profili falsi, BOT, oceani di cacciatori di like che sognano solo di rivendere l’account al primo potentato di turno, oppure agenzie di comunicazione che puntano solo a segmentare la società in due fazioni, quelli che mangiano carne rossa e non credono al cambiamento climatico, e quelli che inneggiano al gay pride e comprano auto elettriche.

Io per esempio mangio pochissima carne (ma la mangio), non sono un assiduo frequentatore dei gay pride ma ritengo che ciascuno abbia il sacrosanto diritto di essere omosessuale (anche se ritengo una stronzata inaudita il Wald Disney della woke culture), credo fermamente nel cambiamento climatico, ma non alle fandonie del mining Bitcoin come fonte di spreco energetico (anzi), e la lista potrebbe essere lunga. Il fatto è che a cambiare dovrebbe essere proprio il paradigma. La scienza è fatta di ragionamenti, non di tifoserie. Oggi invece si preferisce alimentare le seconde, più semplici per effettuare il divide et impera rispetto al popolo bue.

Con un interrogativo che lentamente prende piede: siamo al cospetto di una rappresentazione falsata del mondo, oppure di un mondo che si sta adeguando a questa sua deformata versione?

Inflazioni sociali

Il punto è che probabilmente valgono entrambe le interpretazioni, dettaglio che rende paradossalmente molto più conflittuale e ambiguo il quadro di riferimento. Una sorta di principio di indeterminazione applicato alla società, laddove per società intendiamo — giova ricordarlo — un novero di aventi diritto che per oltre il 50% hanno definitivamente rinunciato a esprimere la loro preferenza politica. Un caso? Pigrizia? Disillusione? Non credo proprio. Dietro l’evidente decadenza della politica ci sono dinamiche sociali molto precise, che riguardano un mondo passato dall’ordine al caos, dalla società dei ruoli e delle mansioni a quella del tutti contro tutti.

Ebbene, se dovessi esprimere la cosa in due parole mi andrei a rifare alla teoria della scarsità alla base del valore dell’oro e di Bitcoin. Viviamo in un mondo dove tutti vogliono essere romanzieri di successo e nessuno vuole leggere libri, dove tutti vogliono essere ricchi sfondati schioccando un dito, e via discorrendo. Un mondo, cioè, fatto di oceani di persone che pretendono di essere moneta sonante, con l’unico effetto possibile: l’inflazione, la svalutazione, la perdita di potere d’acquisto; il contrario, mutatis mutandis, di quello che appunto accade con oro e Bitcoin, che sono asset finiti, limitati superiormente, a offerta fissa.

Lo capiamo, no? Se tutti vogliono fare gli intellettuali, non ci saranno di fatto più intellettuali. Se tutti vogliono dire la loro, non ci sarà più verità, oggettività, scienza… Non per niente abbiamo iniziato a parlare di una società della post verità.

Una via sensata per il Web contemporaneo

Vogliamo continuare a dare retta a odiatori seriali con la terza elementare? Vogliamo ancora ascoltare le teorie geopolitiche dell’idraulico e quelle virologiche dell’estetista? Se la risposta è negativa, allora dobbiamo trovare una nuova strada per l’utilizzo intelligente della Grande Rete, oggi affollata e più dannosa che utile.

La via, secondo me, deve necessariamente considerare un postulato…

Un Web che non connette nodi realmente esistenti nella realtà, operativi nella realtà stessa per creare valore, prima o poi si trasforma in una bolla autoreferenziale, buona sola per generare caos e disvalore.

Immediato corollario di quanto detto è che — a parte ovviamente la nicchia dei servizi erogabili direttamente in modalità infotelematica — il Web “buono” deve necessariamente porgere strutture in grado di connettersi efficacemente con uno o più territori fisici, veicolando l’incontro, la conoscenza, l’approfondimento in presenza.

Questo significa demonizzare i webinar Zoom e Google Meet? Assolutamente no, anzi. Lo strumento “da remoto” rimane non solo utile, ma fondamentale. Si tratta però di riferirlo a dinamiche che devono avvenire nel mondo reale. Meno opinioni, più fatti. Meno teorie, più pratiche. Meno avatar, più persone reali. La rete è uno strumento di connessione, non di auto-connessione del niente col niente.

Monopoli e fediversi

Da qualche tempo a questa parte, lo sappiamo, ben noti social network sono diventati tristemente famosi per le loro funzioni (il virgolettato è in questo caso d’obbligo) “politiche”, con abbondante diffusione di fake news, campagne d’odio, inseguimenti del like facile e del relativo consenso, e via discorrendo. Non voglio qui addentrarmi in questioni che hanno a mio avviso a che fare con puri teatrini autoreferenziali, animati dagli Elon Musk di turno e dai loro seguaci al soldo.

Mi limito a parlare, ancora una volta, della realtà oggettiva, che oggi si esprime con l’eloquenza dei fatti. Per quanto il Web si agiti in questa o quella direzione, a recarsi alle urne rimane una scarsa metà della popolazione, segno evidente che l’altra metà è interessata a ben altro.

Il rigetto verso i molti monopoli che caratterizzano le grandi compagnie della comunicazione (e della profilazione) nel Web, da Facebook a X/Twitter, è anch’esso un dato di fatto, che sembra aver indotto la comunità open source a trovare delle alternative. Queste alternative, inutile girarci tanto attorno, nel caso della comunicazione one to many sono molto precise: il fediverso rappresentato dall’ecosistema Mastodon, e la new entry BlueSky, che fediverso in senso stretto proprio non è, ma sembra strizzare l’occhio a questa filosofia.

Si tratta di sistemi effettivamente liberi e belli? In tutta franchezza non saprei, o meglio potrei dare un’opinione solo qui e ora: qualsiasi isola vergine, prima di essere popolata dal cemento della speculazione edilizia e del turismo selvaggio, è libera e bella. Personalmente ho un account X/Twitter piuttosto frequentato, e non ho alcuna intenzione di chiuderlo per il solo fatto che il suo proprietario è un miliardario pazzo convinto di poter colonizzare Marte. Continuo a ritenere che sia l’uomo a fare la bontà o la cattiveria dello strumento, e non viceversa.

In ogni caso, riferendoci a queste due “isole” (di cui una più simile a un arcipelago confederato) è oggettiva la cospicua presenza di soggetti mediamente più interessanti rispetto alla situazione di quasi totale disagio psichico vigente nel mainstream. Inutile girarci attorno: su Mastodon e BlueSky tira un’aria più leggera e ossigenata.

A fronte di tutto ciò, la prima domanda che mi pongo è sempre la stessa: come posso utilizzare efficacemente questi strumenti, e come posso differenziarli andando a cogliere e interpretare al meglio le loro peculiarità?

La mia mappa in BlueSky

Con estrema umiltà, credo che la via migliore sia quella che passa dalla consultazione di una mappa deliberata che ciascuno di noi deve disegnare prima di intraprendere il viaggo con un determinato strumento. Nel caso del mio BlueSky questa mappa somiglia alla risultante dei seguenti punti programmatici.

Forma

Reblog di miei articoli — In questo caso, l’automatismo è concesso. I miei articoli, sia pure indirettamente, parlano di me, quindi è giusto rilanciarli in un luogo che dovrebbe essere appunto rappresentativo del mio modo di lavorare, ragionare ed esprimere idee.

Aggiornamenti personali — I veri e propri “twit” dell’originario Twitter. Ideali per veicolare aggiornamenti all’interno di potenziali community.

Sostanza

Eccoci dunque a parlare dei temi e delle tonalità generali da dedicare a BlueSky. Questa sezione sarà più chiara una volta letta quella successiva. Basti dire in questo caso che BlueSky è secondo me un luogo da riservare a interazioni non particolarmente legate alla tecnologia. Se devo essere un “quasi nerd” (non lo sono, ma a volte mi costringo ad esserlo per convenienze logistiche e gnoseologiche), preferisco farlo altrove.

In BlueSky voglio parlare di creatività e management, viaggi e gatti, aziende e prodotti, servizi, ma anche letture, serie TV, sia direttamente che indirettamente.

La mia mappa in Mastodon

Nel mio Mastodon “social” ho a disposizione 500 caratteri, ben 200 in più rispetto a quelli di BlueSky. Non si tratta di un dettaglio da poco: con 500 caratteri non puoi certamente scrivere un trattato, ma la dimensione è piuttosto corposa e permette parecchie libertà in più.

Forma

Micropost — Aggiornamenti che diventano veri e propri post, ma più sintetici e diretti. Piccoli pezzi, ragionamenti, perifrasi, descrizioni puntuali e risorse.

Reblog di miei articoli — Come per BlueSky.

Sostanza

Un pizzico di cultura tecnologica. Di certo Mastodon rappresenta un presente molto tech, quindi potrei trovare proprio qui l’ambiente ideale per trattare questi temi.

Ergo…

La comunicazione nel Web è un fatto di consapevolezza, chiarezza e responsabilità personale. Se il mondo va nella direzione del caos e della mancanza totale di ordine e razionalità, io intendo andare in quella opposta.

Start Newsletter On Demand

Ho deciso. Voglio trasformare questo blog in una newsletter. Non una newsletter classica, cacciata a forza nelle mail dei miei seguaci. No, ci mancherebbe. Più che altro una forma newsletter per rendere sensato questo luogo.

Ho appena pubblicato un post sulla necessità di definire l’uso di ogni strumento nel Web. Nello specifico, ho parlato di BlueSky e Mastodon…

https://creativephilblog.wordpress.com/2025/04/14/dalla-decadenza-al-web-consapevole-bluesky-e-mastodon/

Si tratta ora di dare una direzione anche a questo mio blog che, giova ricordarlo, sta all’interno di una community particolare: quella legata a Vivaldi Browser, alla sua filosofia e alle sue meccaniche — in certo senso — ideologiche.

Siccome Vivaldi intende essere uno strumento flessibile, perfettamente personalizzabile e dunque adattabile al singolo utente, ho immaginato questo luogo come un abito da indossare. Questa idea di modularità fa molto rima con la parte legata a Vivaldi Social, a sua vosta espressa attraverso il microblogging di Mastodon.

Vorrei dunque usare la forma post per veicolare una compilazione sequenziale, con link soprattutto a miei contenuti sviluppati proprio nella sezione microblog.

E questo è quanto.

Pixelfed the Seducer

Il titolo di questo mio post saccheggia quello di un noto album — che dico album, capolavoro — dei Ladytron, risalente ormai a quattordici anni fa. La componente della seduzione è evidente, come in tutto quello che riguarda sua maestà il fediverso. Questo per dire che sì, l’arrivo della tanto annunciata applicazione mobile di Pixelfed mi ha indotto a spingere sul mio account con tutte le forze!

Pensavo di utilizzare questo luogo in sostituzione di Instagram, luogo che letteralmente detesto, ma che continuo a tenere, esattamente come accade per il gemello Facebook, solo per ragioni di etichetta. Potrei convertire in “fediverso pensiero” un po’ tutta la mia produzione in termini di visual thinking creativo. Sarebbe interessante.

Pixelfed Social consente di commentare le proprie immagini con ben 2000 caratteri. Praticamente una piattaforma di blogging, visto che manco Mastodon Vivaldi Social arriva a tanto (si ferma peraltro al simbolico numero di 1337, che di certo non è poco). Razionalità, fediverso, alternativa al mainstream: tutte cose che mi piacciono.

I 500 caratteri di Mastodon Social vanno benissimo per un diario quotidiano, che, diciamocelo, in un comune blog longform-oriented ormai non ha più senso. Ci penserò in modo operativo e concreto, anche perché, di fatto, ad oggi il mio diario quotidiano nel web non so bene dove sia, visto che preferisco di gran lunga le annotazioni cartacee. Da questo punto di vista, ho trovato estremamente produttivo questo video, che parla del metodo minimalista di note taking di Sam Altman.

Da notare che Pixelfed può essere usato proprio come veicolo per trasmettere a un vasto pubblico le proprie annotazioni su carta. Semplice, banale, ma geniale sul piano fenomenologico. Decisamente seduttivo.

On Tumblelogging

Un tumblelog, o tlog, è un tipo di sito web, variante del blog, la cui caratteristica principale consiste nella brevità dei contenuti testuali arricchiti da altri elementi multimediali, differentemente dai lunghi editoriali frequentemente associati ai blog.

Wikipedia

Come spesso accade, la definizione ufficiale si perde molto della fenomenologia effettiva. Io scorro spesso la home page di Tumblr, e penso che in generale il tumblelogging sia qualcosa di più particolare. Non già semplici contenuti brevi ma veri e propri ritagli elettronici con un retrogusto cinico, memetico, sbrigativo come potrebbe esserlo una crudeltà gratuita puramente letteraria o cinematografica.

L’autore, ossia la mano umana dietro il ritaglio, sembra sempre alludere a forme di automatismo totale, concentrate sulla natura viscerale, immediata, sensuale, iconica, ma intrinsecamente transeunte e usa e getta dei contenuti diffusi. Una sorta di arte autogenerata.

Personalmente ho un tumblelog (ovvio) su Tumblr, che si intitola Phil Log Book. Per molto tempo mi sono chiesto come utilizzarlo al meglio, visto che questa filosofia che ho appena descritto non incontra particolarmente i miei favori. Giungendo a una conclusione. Visto che un tumblelog tende a essere esperienza “non autoriale”, io farò l’esatto contrario; lo userò come strumento “iper autoriale”, insistendo sulla centralità dei miei commenti ai materiali multimediali di volta in volta pubblicati, ripubblicati, pescati o appunto ritagliati qua e là.

Ancora su Twitter/X e Bluesky

Perché avere sia un account Twitter/X che uno Bluesky? Parlando per me, di certo posso dire di essere tutto fuorché un sostenitore di Elon Musk. Ma mi chiedo: che c’entra Musk in quello che alla fine della giostra è un servizio? Il Twitter dell’era X ha delle caratteristiche; Bluesky ne ha delle altre. Tutto qui.

Recentemente ho per esempio sottoscritto un abbonamento premium “plus” che mi permette di usare Grok, un assistente AI integrato, effettivamente interessante, più svariate funzioni aggiuntive che mi hanno permesso di mie analoghe partecipazioni in altre piattaforme. Perché dovrei rinunciare? Ogni giorno, peraltro, prendo per i fondelli Musk dalla balaustra del suo stesso social network, e non mi pare di avere la CIA appresso. Anzi. Musk, in definitiva, altro non è che un imprenditore che cerca piuttosto rocambolescamente di pararsi il culo (anche con la politica), e alla fine, se notate, la butta sempre in ridere. Non credo si prenda troppo sul serio, e non credo neppure sia il caso di prenderlo troppo sul serio.

Dall’altro lato, Bluesky è oggettivamente il Twitter delle origini. Pochissime funzioni, pochissimi caratteri a disposizione. In sostanza, un luogo dove citare cose scritte altrove, oppure informare la nostra comunità di quello che stiamo facendo o pensando, usando testo e immagini. Punto, fine, stop. Il suo punto di forza è indubbiamente rappresentato dal minimalismo, e la cosa ha senso… L’idea del cielo blu, del respiro, del campo aperto, è perfettamente calzante.

Personalmente credo che la ridondanza funzionale di Twitter/X possa avere senso solo se confinata ad usi profondamente creativi e ironici (ossia, anti-automatici), oppure limitati all’ambito strettamente professionale. Quando a Bluesky, la situazione è opposta: la piattaforma stessa necessita di creatività per ottenere il massimo dal minimo, e dunque veicola un uso di per sé personale, più intimo e classico. In certo senso nostalgico, ma sempre lungo la direttrice dell’innovazione e della modernità. In Twitter/X devo impormi dei confini per essere efficace e non uniformarmi alla corrente. In Bluesky questi confini ci sono già…

(Tra l’altro, devo conoscere questa tipa…)