


Oggi, relativamente alla mia rinnovata pubblicazione in Substack, esce di fatto il primo contenuto dedicato ai soli abbonati. Si tratta della prima puntata di una serie di articoli dedicati a quello che ho chiamato “sillabario minimo” del management creativo inteso come insieme di procedure, tecniche puntuali e atteggiamenti generali da tenere dentro il processo di generazione e implementazione delle idee.
Il potenziale piano dell’opera andrà poi a prevedere ragionamenti più legati al frameworking, concetto fondamentale che racchiude l’idea di un metodo in grado di procedere in via sinottica, contemplando però specifiche macro-aree “attorno” al sopraccitato processo, molto utili per padroneggiare l’intero meccanismo.
Sempre all’interno della pubblicazione sarà possibile vedere miei “lavori” in termini di visual thinking, sketchnote in primis.
Non parlerò solo di management, ma anche di innovazione, tecnologia, blockchain e applicazioni nel campo aziendale e finanziario, con ampia comunicazione e condivisione di contatti chiave e dritte. Ecco perché la pubblicazione è stata impostata come bollettino privato, ossia dedicato a un pubblico definito.
Per gli amanti dell’innovazione, della tecnologia, delle tecniche e strategie di management mediate da procedimenti alternativi (lateral e visual thinking, business aware design, etc…), nonché per chi tratta tematiche attinenti a campi quali Bitcoin, blockchain, criptovalute, finanza decentralizzata e intelligenza artificiale, ho leggermente modificato il mio account Substack trasformandolo in una testata a pagamento (cinque euro al mese, oppure quaranta all’anno, cifra minima se consideriamo quanti libri e quanta esperienza possa celarsi nella favella di uno come me, e vi faccio notare la modestia).
Scherzi a parte, confezionerò ancora contenuti per i non abbonati — dalle news agli inviti aperti al vasto pubblico — ma il grosso sarà rappresentato da informazioni VIP, riservate solo a una stretta cerchia di appartenenti al club. Le ragioni sono varie, ma la prima è molto semplice: il mio tempo è quasi interamente dedicato alla scrittura di articoli e al networking connesso al mio lavoro, quindi, se proprio devo scrivere di tematiche a vario titolo professionali, vorrei farlo solo per i quasi clienti o per lettori veramente interessati a supportare la mia scrittura.
L’abbonamento di cui sopra, oltre ai contenuti speciali, include una chat in presa diretta ed esclusiva con me e la mia community. Quindi, come dire, potete pormi domande estremamente intime. Professionalmente intime, intendo.
News News NEWS | via Non Euclidean Manager Zone (Substack)
Il titolo di questo mio post saccheggia quello di un noto album — che dico album, capolavoro — dei Ladytron, risalente ormai a quattordici anni fa. La componente della seduzione è evidente, come in tutto quello che riguarda sua maestà il fediverso. Questo per dire che sì, l’arrivo della tanto annunciata applicazione mobile di Pixelfed mi ha indotto a spingere sul mio account con tutte le forze!
Pensavo di utilizzare questo luogo in sostituzione di Instagram, luogo che letteralmente detesto, ma che continuo a tenere, esattamente come accade per il gemello Facebook, solo per ragioni di etichetta. Potrei convertire in “fediverso pensiero” un po’ tutta la mia produzione in termini di visual thinking creativo. Sarebbe interessante.
Pixelfed Social consente di commentare le proprie immagini con ben 2000 caratteri. Praticamente una piattaforma di blogging, visto che manco Mastodon Vivaldi Social arriva a tanto (si ferma peraltro al simbolico numero di 1337, che di certo non è poco). Razionalità, fediverso, alternativa al mainstream: tutte cose che mi piacciono.
I 500 caratteri di Mastodon Social vanno benissimo per un diario quotidiano, che, diciamocelo, in un comune blog longform-oriented ormai non ha più senso. Ci penserò in modo operativo e concreto, anche perché, di fatto, ad oggi il mio diario quotidiano nel web non so bene dove sia, visto che preferisco di gran lunga le annotazioni cartacee. Da questo punto di vista, ho trovato estremamente produttivo questo video, che parla del metodo minimalista di note taking di Sam Altman.
Da notare che Pixelfed può essere usato proprio come veicolo per trasmettere a un vasto pubblico le proprie annotazioni su carta. Semplice, banale, ma geniale sul piano fenomenologico. Decisamente seduttivo.
Ebbene sì. Ispirato da una precisa serie di video prodotti da nota marca tedesca di taccuini mi sono lasciato prendere la mano.
Stamattina ho trovato un mio vecchio taccuino, imboscato nei meandri dello zaino che ho portato qui in vacanza assieme al mio Chromebook. (Ebbene sì, niente Vivaldi Browser. Di solito quando mi muovo vado di standardizzazione mainstream, anche perché la produttività personale in senso lato è messa da parte.)
Ci sono delle immagini veramente cool. Come questa, per esempio. Come vedete, amo utilizzare per questi ritagli la mia succursale di microblogging nel fediverso di Vivaldi Social, che vi invito a seguire e a usare.
Nel medesimo taccuino ho anche trovato delle cose che mi ricordano la mia passione per il cinema di genere di quello che ho sempre chiamato “il cinquantennio pop”, dagli anni Cinquanta a poco dopo la fine degli anni Ottanta. Non saprei come inquadrarle, ma mi piacciono molto.
Per non parlare di questo delirio discordiano, che mi suggerisce di continuare una certa lettura che ho messo momentaneamente nel cassetto: L’Occhio nella Piramide (1975). Ma questa è un’altra storia…
Da parecchio tempo sono un fanatico di sketchnote taking, una prassi che ho appreso da Mike Rohde. Ho ripreso ad annotare in questa modalità. Ecco alcune pagine del mio notes.
Ora vorrei individuare una sorta di supporto standard. Mi sono sempre mosso da un prodotto all’altro, come per testare varie superfici e tipi di carta, ma ora vorrei soffermarmi su qualcosa di più standardizzato.
Stamattina ho acquistato queste flash card di Amazon Basics. I vantaggi di Prime vanno sfruttati, no? Mi servono per annotare citazioni (e autocitazioni) nello stile di Austin Kleon.
Penso di dover incentivare la scrittura compulsiva, una cosa (un atteggiamento, direi) che un tempo potevo permettermi, e che ora può solo svolgersi nei ritagli. Credo che un grosso business sarebbe quello di vendere tempo di qualità a chi ne fa richiesta. Tempo, silenzio, ambiente, atmosfera…
Stanotte ho sognato un’espressione che sintetizza svariati “ambienti” (or settings, if you want) che caratterizzano spesso gli stessi miei sogni. L’espressione è: la Padova arcaica. Ora, non so se si tratti di Padova, ma spesso e volentieri io sogno degli ambienti che affondano la loro essenza in ciò che ho visto da bambino. Scorci, anfratti, giardini interni di palazzi, chiostri, vedute aeree nello stile dei vecchi documentari del servizio pubblico radiotelevisivo (lo chiamo così per distinguerlo dallo schifo attuale), e via discorrendo…
Ho “conosciuto” la creatività (seria) attorno al 1995, leggendo un libro di Edward De Bono; non per niente si intitolava Serious Creativity. In seguito a questa lettura illuminante ho sviluppato quella che a buon titolo sarebbe diventata la mia passione primaria partecipando, nei primi anni Duemila, alle ferventi attività di Createca, animata dal celebre consulente francese Hubert Jaoui.
Sono sempre stato un grafomane, scrittore e disegnatore seriale. Il contatto col mondo creativo ha semplicemente intensificato questa mia attitudine. D’altra parte, da Leonardo da Vinci a Brian Eno, non esiste processo creativo che possa svilupparsi senza un prototipo grafico, che noi creativi siamo soliti annotare rigorosamente a mano.
All’epoca andavano per la maggiore le mappe mentali di Tony Buzan. Più recentemente, le stesse sono state operativamente inglobate come caso particolare nel modello “sketchnote”, proposto da Mike Rhode.
Ciò che amo del modello sketchnote è la sua estrema semplicità, a limite della banalità (come spesso accade nelle proposte formative statunitensi, che tendono a mettere a sistema anche l’ovvio). Tuttavia ci sono alcune “tendenziali” critiche che posso muovere ai risultati finali ottenuti da questo metodo. Riflettendoci sopra, sono giunto a una conclusione: tutte queste critiche sono riassumibili nell’idea di politicamente corretto.
Le sketchnote “ben realizzate” fanno spesso leva su meccanismi mentali “facili”, ossia freschi, positivi, sorridenti, appunto politicamente corretti e riferiti a una generica e (secondo me) scolorita cultura dell’innovazione. Questa cultura parla ormai linguaggi che reputo “già pensati”, colmi di un buonismo verde e arcobaleno che arrivo a ritenere ormai, nella loro diffusione totalizzante, alla stregua di un pensiero unico.
Gli stessi esiti “aziendalistici” un tantino eccessivi in termini di entusiasmo gratuito ed energia stile integratore alimentare sono presenti anche in un altro approccio, quello di Sunni Brown, che nel suo libro The Doodle Revolution introduce la tematica grafico-creativa in termini più ampi. Tuttavia rilevo in lei una maggiore esuberanza di fondo, almeno in senso teorico, che mi solletica parecchio e dalla quale si può certamente partire per giungere a configurazioni interessanti.
Ora, a parte le basi teoriche e soprattutto operative, che vanno comunque benissimo così, credo che esattamente su questa esuberanza potenzialmente onnivora si debba fare leva per parlare di creatività all’opera.
Quindi uno dei miei progetti personali sarà questo: depurare la creatività da ogni residuo di pensiero politicamente corretto. Avremo un pubblico più esiguo? Non importa. Anzi credo sia meglio.
Molto semplice, con alcune intuizioni per massimizzare la comodità.