Nakamoto e il Sistema

Il mio amico Demetrio Battaglia direbbe (è il titolo di un suo recente pamphlet) che l’uomo è sotto attacco, anche se a mio avviso la dinamica è molto più banale. Il Sistema, inteso come sezione medio-alta della piramide del potere, si è reso conto che la moneta di Satoshi Nakamoto può fornire al singolo individuo — questo il concetto chiave — uno strumento potentissimo per emanciparsi, e dunque sta reagendo.

La reazione si esprime in numerose dinamiche del tutto ovvie e giustificabili: paletti normativi e fiscali, censure, disinformazione diffusa attraverso i canali mainstream, e via discorrendo. Ma non solo: Bitcoin, oggi come oggi, è chiaramente inserito in un’economia ibrida delle transazioni, che solo in minima parte segue la morfologia immaginata da Nakamoto: transazioni native di BTC da individuo a individuo (ossia, da wallet a wallet), punto, fine, stop…

Poco tempo fa ho parlato, per esempio, di come l’Europa stia provvedendo a rilanciare strumenti di controllo che farebbero rabbrividire lo stesso Grande Fratello di orwelliana memoria.

Ma questa tendenza a mio avviso si estende ben oltre il semplice e prevedibile campo delle normative e delle imposizioni dall’alto. Anche la stessa “agorà degli operatori di settore” (chiamiamoli così) sta ipotizzando aziende a base Bitcoin che secondo me risultano lontanissime dall’ideale originario che ha determinato la nascita del protocollo Nakamoto.

Ossia, intendiamoci. Nulla vieta ad aziende standard di conservare riserve strategiche in BTC, e non sarò certo io a demonizzare soluzioni centralizzate in grado di risultare conformi alla normativa, o di semplificare gli oneri fiscali che tali aziende sono costrette da sempre a rispettare. Il fatto è che Bitcoin non è immaginato solo per diversificare il portafoglio patrimoniale di un’azienda, che potrebbe nello stesso modo conservare oro fisico (o sottoscrizioni del medesimo, come oggi sembra essere di moda), oppure azioni Tesla o Apple. Confinarlo in questo angusto orizzonte significa, banalmente, non aver capito un bel nulla.

E qui arriviamo al dunque della mia argomentazione. Un dunque che riproduce peraltro il titolo stesso di questo mio blog.

Pensare a Bitcoin come all’asset primario per una rivoluzione “aziendale” significa necessariamente riformare il concetto stesso di azienda, che da euclidea deve diventare non euclidea. Nello specifico, il modello non può assolutamente essere quello dell’azienda contenitore di individui, ma al contrario quello di un nuovo sistema economico che coinvolge direttamente il singolo individuo come unità di input e output, protagonista del tutto emancipata da qualsiasi sovrastruttura pregressa.

Parliamo di un’utopia? Può essere. O meglio, parliamo certamente di un’utopia se pensiamo di poter convertire l’intero attuale sistema produttivo e industriale con la sola, banale e chiaramente insufficiente prescrizione dell’accettazione di Bitcoin come sistema di pagamento.

Accettare BTC come sistema di pagamento è certamente una cosa buona, ma ad oggi le dirette conseguenze di tale scelta possono solo cambiare la configurazione dell’economia individuale di chi — ammesso e non concesso di poterlo fare, cosa tutt’altro che scontata — ha implementato questo meccanismo, e non certo quella del sistema economico vigente e operativo, tanto meno su scala globale.

In altre parole, un’economia a base Bitcoin potrà nascere solo in ragione di un cambiamento radicale delle regole, ovvero di una loro eliminazione, a favore di quella che possiamo chiamare l’economia del buonsenso e della fiducia. Non per niente, ad oggi i primi operatori economici ad aver abbracciato il sistema di pagamento nativo in satoshi sono quelli più vicini all’idea dell’individuo sovrano: professionisti (avvocati, notai, commercialisti) ed esercenti in attività microimprenditoriali (bar, pubblici esercizi e affini).

Bitcoin è oro digitale scambiato a livello globale da persona a persona, senza mediazioni di sorta, a parte quella implicita del protocollo che remunera già i nodi attraverso un incentivo economico predeterminato. Questa semplice considerazione dovrebbe bastare a far capire che, in un ipotetico sistema “only Bitcoin”, l’idea stessa di un’imposizione fiscale non ha alcun senso, in quanto Bitcoin non viene emesso da alcuna banca centrale in grado di pretendere una remunerazione, e non ha senso neppure l’inserimento in questa o quella giurisdizione in termini societari e produttivi, visto che Bitcoin è strumento globale che funziona nello stesso identico modo a qualsiasi latitudine.

Certo, questa cosa ha senso se convertiamo poi BTC in euro o dollari, e allora siamo tutti d’accordo. Ma è questo che voleva Nakamoto?