Il Caso FMR e la Cultura Decaduta

Non proibirono i libri. La procedura fu per loro molto più comoda, efficace e definitiva di qualsiasi falò. Si limitarono a rendere inutile il pensiero.

Le edizioni Franco Maria Ricci sono un tassello molto interessante del mondo libresco italiano. Interessante, o meglio significativo ed esplicativo, in quanto descrive con estrema eloquenza il decadere ormai cronicizzato di quella che un tempo chiamavamo cultura.

Mi pare di sentirli, i manager responsabili del rebranding della casa, oggi in pratica riassunta dalla sola location del Labirinto della Masone. Dobbiamo trasformare il marchio in un simbolo di raffinatezza e sofisticata bellezza. Quindi, banalmente, aumentiamo i prezzi. Edizioni illustrate a ventotto euro cadauna. Punto, fine, stop… Posto bello, ci mancherebbe. Ma in sostanza un museo, che limita l’influenza di questo grande e iconico mecenate a puro trastullo per ricchi che intendono soggiornare in location di lusso e mangiare in ristoranti stellati annessi alla struttura.

Ho visitato il labirinto nel 2017, in occasione del mio viaggio di nozze. Avevo in mente di tornare, dopo ben 27 anni, a Salsomaggiore Terme, per vedere se la città potesse darmi le stesse emozioni di un tempo. Risultato, una delusione cocente. Terme Berzieri chiuse al pubblico e trasformate, appunto, in uno sterile museo con visite guidate. Il rigoglio dell’industria profumiera e cosmetica della città praticamente azzerato. Centro storico vuoto, lontano dal ricordo “da cartolina della Belle Époque” che conservavo gelosamente nella memoria. Insomma, una decadenza totale.

Per rifarmi dall’insoddisfazione ho proposto a mia moglie di visitare la periferia, e siamo appunto incappati in un volantino della curiosa architettura “tra i bambù” che riassumeva e riassume ad oggi quanto resta dell’attività di questo ricco mecenate bizzarro.

Seducente, certo, e ci mancherebbe. Ma con la solita patina di artefatto che accompagna il contemporaneo in quasi tutte le sue manifestazioni: la citazione di Vittorio Sgarbi, come detto il ristorante da basso coi piatti a trenta euro, la foresteria del circuito luxury, e via discorrendo. Credo peraltro che l’intera compagine commerciale legata alla sezione editoriale sia andata in mano a una compagnia che si occupa di vendita porta a porta, indirizzata alle famiglie altolocate della Repubblica. Come dire: FMR trasformata — non so se ve la ricordate — in Telemarket, con tutto quello che ne deriva in termini di forte dubbio sulla consistenza dell’intero costrutto.

La sensazione è quella di un conato, di un tentativo pindarico, fuori tempo rispetto a un presente che oggi parla un linguaggio ben diverso, che è quello di Amazon e di Temu, o al più di progetti che risultano molto più credibili — intendo culturalmente credibili — nel proporre libri fuori catalogo via Ebay e affini.

Perché diciamocelo chiaramente. Oggi uno come Fabrizio De Andrè non avrebbe più senso, in quanto non avrebbe seguito neppure a una festa della birra. E lo stesso dicasi degli Umberto Eco di turno. Ve lo immaginate oggi un comico in grado di parlare come il Paolo Villaggio degli anni Settanta? Quindi conviene evadere, uscire clandestinamente dal sistema per impiantare ben altrove un nostro sistema in grado di realizzare ciò che là fuori non esiste e non può più esistere.

Non chiedete a me come. Se lo sapessi, comunque non ve lo direi, visto che siete molto probabilmente pure voi dei nemici. Nemici indiretti, certo, magari in buona fede. Ma pur sempre nemici, anche contro la vostra volontà.

Arte Congiunturale

L’idea di trasformare la congiuntura in arte credo mi giunga direttamente da Austin Kleon e dalle sue elucubrazioni, che di fatto ho sempre seguito e in larga parte applicato. Io sono uno che scarabocchia da sempre. Sunni Brown ne ha fatto addirittura un manifesto.

Il Caso di Velvet Buzzsaw

Sarò breve.

Velvet Buzzsaw è un interessante thriller a sfondo grottesco, satirico e paranormale ambientato nel mondo dell’arte contemporanea, che ebbi modo di visionare qualche tempo fa su Netflix. Il suo iter di ideazione, produzione e presentazione copre un periodo che intercorre circa dall’estate del 2017 ai primi del 2019, e stando alle fonti ufficiali non sembra esistere alcun materiale edito pregresso che ne abbia costituito, per così dire, la base ispirativa.

Per lungo tempo mi sono però chiesto che cosa mi ricordasse questa vicenda che, senza fare spoiler, ruota attorno ai poteri occulti di alcuni misteriosi quadri.

Ebbene, esiste un romanzo del 1985, a firma del nostrano Gianfranco Manfredi, che si intitola Cromantica, la cui storia risulta molto, molto simile a quella di cui sopra. Si parla, nello specifico, della misteriosa comparsa, in un’importante galleria milanese, di alcune tele completamente nere, che oltre ad alludere a particolari storie dal sapore magico e alchemico presentano proprietà incredibili, tra cui quella di resistere al fuoco e agli agenti chimici.

Ora, pare molto difficile che gli autori del film abbiano letto questo libro, che peraltro, a differenza di altri titoli del medesimo autore, non vanta nessuna traduzione in lingua inglese. Eppure la sigla animata degli open credits del film in questione porge alcuni elementi piuttosto sconcertanti: fiamme che ardono dalle cornici di quadri completamente imbrattati di vernice nera.

Retep Folo: Random File

L’artista (o progetto) Retep Folo, al secolo Peter Olof Fransson, scuderia Clay Pipe Music (anche se mi pare di averlo visto pure altrove), è un genio. Non è l’unico, intendiamoci. Ma il suo sound è quello che vorrei nell’allestire qualsivoglia utopistico spazio della memoria a base di brossura romanzesca stagionata, documentari della vecchia BBC, sceneggiati, brughiere televisive e altre meraviglie catodiche.

Nasce il Non Fungible Post

L’idea di una prassi targata NFP (Non Fungible Posting), annotata stamane nel mio Mastodon. Interessante. Si parla della scrittura nel web (ossia, nel Web3) come di una potenziale modalità aumentata, che consenta non solo di leggere, ma anche di collezionare in uno spazio privato. (Come ovvio, o come spero ovvio, c’è di mezzo la blockchain.)

Un calligramma digitale. Omaggio indiretto a Brion Gysin.

Tutto questo ha a che fare con l’idea determinante di composizione. Laddove l’intelligenza artificiale svolge ormai tutto al tuo posto, c’è poco da fare: l’arte vera più che mai sorge dalla capacità di comporre in sequenze spaziotemporali sensate.

Lungo una serie abbastanza corposa e apprezzata di NFT collezionabili snocciolati nella mia pagina Cent ho cercato di fare esattamente questo, anche se la dotazione fattuale di ispirazioni non mi ha permesso di sfruttare la tecnica fino in fondo, o almeno come vorrei. Ma sono comunque soddisfatto. Ho una marea di collezionisti che possiedono volontariamente quello che scrivo e associo “compositivamente” a immagini, video e altre espressioni multimediali.

Su questi concetti dovrò necessariamente tornare…

Musica Infinita: Annotazioni

Ieri ho passato praticamente tutta la serata ad annotare concetti musicali ispirati dalle mie ultime ricerche su La Monte Young (di cui ho indirettamente parlato) e la sua estetica musica. Ho anche trovato in rete questo articolo monografico piuttosto esaustivo, che illustra piuttosto eloquentemente l’importanza di un compositore poco conosciuto in Italia, ma letteralmente irrinunciabile nella storia delle avanguardie statunitensi del secondo dopoguerra.

Alcuni dei miei proverbiali fogli volanti.

Improvvisare come in un raga indiano su schemi accordali prefissati. Mi piace immaginare uno spazio sonoro allestito “registicamente” su queste basi: ordine e improvvisazione, forma e libertà, in un campo sonoro che si allarga verso l’infinito.

NFTs & Tea

Credo che si noti. Sto dedicando vari articoli al mondo degli NFT. Solo ieri licenziavo queste tre minuscole dediche a un grande compositore americano (qui poco conosciuto). Oggi esprimo un parere più generale sulla “forma tokenizzata non fungibile” nel mio nuovissimo blog su Listed. (Peraltro, ottima piattaforma, provatela.)

NFT e Valore | via Filippo Albertin Listed Blog

Oggi a Vicenza piove. Tipica giornata autunnale di pianura. Credo mi preparerò un buon tè nero con biscotti…

Tre NFT per La Monte Young

Oggi ho dedicato ben tre NFT all’artista statunitense La Monte Young. Non so perché. Sta di fatto che mi piace pensare a queste tre mie opere che viaggiano lungo la rete decentralizzata, collezionate da decine e decine di individui.

La prima rappresenta una sorta di pittura astratta. La seconda ha un carattere altrettanto astratto, ma più elettronico, schematico, da intelligenza artificiale o metodo matematico. La terza ha un carattere più “spazialista”, per certi versi il più affine al compositore. Tutte fanno riferimento al concetto di “dream house”, un luogo dove affinare i sensi per la fruizione di opere quali appunto quelle del nostro.

Sul Creare Contenuti

A vario titolo e per varie ragioni, in questo periodo mi sto interessando di creazione di contenuti; ovvero, della (fantomatica) figura del content creator.

Il contenuto e la tecnologia

Per quanto la perifrasi sia effettivamente l’ennesima — diciamocelo chiaramente — mistificazione che usa l’inglese come lasciapassare di un’originalità del tutto presunta, che nasconde certamente cose antiche e banali (dal coworking che è e rimane un banale “affitto di scrivanie” ai vari talk che altro non denotano se non “discorsi in pubblico” che si tengono dall’epoca di Cicerone esattamente nello stesso modo), il mondo attorno alla creazione di contenuti è certamente interessante.

La ragione di questo interesse è sicuramente il rapporto tra mondo fisico e mondo digitale, con uno sguardo molto attento alle tecnologie che oggi permettono di liberarsi più o meno totalmente di ogni figura intermedia tra creatore e fruitore. Parlo essenzialmente della blockchain, ossia di quel costrutto informatico che ha permesso la nascita e l’ascesa delle cryptovalute, e oggi sta alla base della rivoluzione degli NFT, token non fungibili che mimano alla perfezione il comportamento di un’opera d’arte unica e irripetibile che passa di mano in mano — di wallet in wallet — attraverso procedimenti crittografici automatizzati.

Senza tanto perdere tempo nel parlare degli altri creatori di contenuti, parlerò di me. Perché sì, io mi ritengo un creatore di contenuti, nonché un docente — versato in tecniche creative e di visual thinking (ok, questa volta ho usato io un termine inglese, ma solo per necessità di sintesi) — che ha spesso insegnato ad altri ad esserlo. Quindi, vorrei fare il punto su me stesso.

Una sorta di manifesto (valido forse solo per me)

A me capita di fare tante cose. Sono un crypto entusiasta che lavora come consulente freelance Bitcoin e Altcoin, ma adoro i film degli anni Trenta. Disegno in bianco e nero su carta, eppure adoro l’arte digitale e i suoi luminosi cromatismi a schermo. Colleziono e uso penne stilografiche di ogni tipo, ma quasi sempre scrivo a schermo. Amo il synthpop anni Ottanta che veniva veicolato da musicassette fisiche (peraltro tornate di moda), però non potrei fare a meno degli mp3. E via discorrendo.

Non ho mai amato le accozzaglie, né mai le amerò; ma di certo il rapporto tra digitale e analogico mi ha insegnato un dettaglio illuminante. Il vero e grande punto di forza del “mezzo” informatico e telematico è la capacità di veicolare con assoluta efficacia ed efficienza un mix di elementi multimediali eterogenei in una forma univoca e coerente.

L’idea deriva dalla mia lettura di Steal Like ad Artist, di Austin Kleon. Il creativo colleziona cose diverse, apparentemente conflittuali e non miscibili. La sommatoria di tutte queste, però, restituisce l’identità del creativo stesso. Quindi non bisogna tanto preoccuparsi di come verranno assemblati certi materiali. L’importante è collezionare tutto ciò che sembra significativo, scartando il resto.

Quando osservo qualcosa che mi piace, subito dopo averla collezionata (leggi, rubata) inizio subito a chiedermi con quale altra poterla remixare al fine di comunicare quel qualcosa che non posso fare a meno di comunicare.

L’arte, per me, è un remix. Non necessariamente un remix di oggetti posti sullo stesso livello. Può essere anche un remix inedito di stili applicati a un determinato soggetto, o di posizioni filosofiche, o di colori, forme, approcci, cornici, schemi.

Ma attenzione. Il mio metodo — o manifesto — non indica nel remix una sorta di “a prescindere” estetico. Al contrario, io mescolo solo se posso in qualche modo intuire un senso, una particolare efficacia.

Ultimamente, per esempio, sono affascinato da come un normalissimo post di blog — cioè un articolo — possa diventare vera e propria opera d’arte collezionabile attraverso la tecnologia dei non fungible token. Se ci pensiamo, un articolo è esattamente un remix: di immagini, testo, video, musica… Quale forma migliore per veicolare l’idea di arte che ho appena descritto?

Nella mia pagina Cent, propongo spesso opere collezionabili (quasi sempre gratis, a volte a pagamento) in forma, appunto, di articoletti con un titolo, alcune frasi e una o più immagini.

A volte remixo immagini puramente digitali. Altre volte riciclo miei disegni attraverso tecniche di rielaborazione cromatica, riproducendo effetti che altrove mi sono piaciuti.

Dal punto di vista strettamente estetico, direi che il risultato finale, nella sua varietà “riconducibile a me”, mi soddisfa. Nonostante questa soddisfazione, però, io ritengo che il ruolo di un content creator oggi come oggi non possa prescindere da qualcosa di più. Questo qualcosa in più a mio avviso somiglia molto — mi si passi la perifrasi piuttosto pindarica — all’idea di smart contract che sta alla base del funzionamento di determinate transazioni in blockchain. Ossia: ciò che noi oggi possiamo chiamare arte, o più in generale design, sia esso fatto con carta e penna, sia esso elaborato con le più articolate tecniche elettroniche di rendering tridimensionale, non può viaggiare senza un contenuto ulteriore. Questo contenuto secondo me è l’appartenenza a una community, a un pensiero comune, a una condivisione di strumenti e filosofie… Tutte cose che un NFT può veicolare in modo automatico tramite il suo meccanismo di funzionamento.

Un NFT collezionato è frutto di una transazione. Può essere una transazione in denaro (digitale), oppure un regalo fatto a fronte di un’azione. In ogni caso, lo specifico NFT posseduto dal singolo è di volta in volta biglietto, tessera annuale, amuleto, lasciapassare, chiave di sblocco funzioni all’interno di un sito, prova di fedeltà, status symbol, oggetto da apporre come avatar, e mille altre cose.

Conclusioni

L’arte digitale deve diventare strumento di comunicazione operativa, spicciola, terra terra. Abbiamo bisogno di comunità dove l’estetica possa sfumare nella tokenizzazione del tutto.

Abbiamo bisogno di diffondere una cultura di creatività capillare, a disposizione di chiunque.

Il content creator, dunque, deve diventare protagonista in un contesto completamente opposto a quello, presunto e presuntuoso, del mero testimonial, che al contrario non produce nulla di originale, ma si adegua alla dittatura dello sponsor di turno, o dell’agente, o di qualsiasi altro elemento di mediazione non alla pari.

Un vero e proprio manifesto, dunque, il mio. Che propongo a voi esattamente così, senza alcun filtro o mistificazione.