Come Uso Mastodon

Dopo il mio post dedicato a BlueSky potevo esimermi dallo scriverne uno anche su Mastodon? Direi di no, anche perché i due servizi, indubbiamente molto simili, presentano comunque delle sottili diversità degne di nota.

Limite dei caratteri meno spartano — A differenza di BlueSky, il protocollo di Mastodon permette una libertà ben maggiore, passando dai 300 ai 500 caratteri disponibili per ogni post (che in alcuni server arrivano addirittura a 1000 e oltre). Si tratta diu un dettaglio non da poco, che fa diventare lo strumento una sorta di piattaforma potenziale di (passatemi il neologismo) medioblogging (chiamo così l’anello di congiunzione tra il microblogging e il blogging).

Presenza del content warning — Si tratta di un aspetto piuttosto interessante. Mastodon permette di porre a inizio post una sorta di avviso testuale, più o meno articolato (sempre tenendo conto del limite caratteri complessivi), che avvisa il lettore del contenuto successivo. Sarà il lettore a cliccare o meno sull’indicazione “show more” per continuare eventualmente a leggere. A ben vedere, anche su BlueSky è possibile avvertire il lettore circa determinati contenuti successivi; ma l’opzione risulta applicabile solo a immagini e contenuti multimediali. In Mastodon la cosa vale invece per tutto il contenuto successivo, sia esso formato da parole, immagini, o entrambe le cose.

Se in BlueSky ci si concentra quindi molto sulla sintesi, in Mastodon la sintesi è più distesa e flessibile, e ci si può permettere qualche volo pindarico in più.

Lo stesso sopraccitato content warning funge dunque da potenziale strumento di editing e formattazione, che può coprire più utilizzi: non solo l’avvertimento su contenuti forti, ma anche l’impaginazione razionale attraverso riassunti che spiegano al lettore cosa troverà oltre quella porta.

Quindi ora sapete come utilizzo il mio Mastodon…

💡 Mi piacerebbe utilizzare il microblogging (BlueSky) e il medioblogging (Mastodon) come strumenti per gestire multi-account monografici. Il progetto è a vario titolo arduo e non banale, in quanto sì, ho molte cose da dire anche lungo specifiche direttrici tematiche, ma a volte non sono del tutto sicuro di averne voglia. Comunque lo inseriamo tra i side project…

Come Uso BlueSky

Lo sapete. Ho un account BlueSky, a suo tempo allestito — come peraltro accaduto praticamente alla totalità degli utenti di questo nuovo social — in risposta ai vari malumori circa l’avvento di Elon Musk alla direzione di Twitter, ora ridenominato X. (Faccio notare che io continuo comunque ad avere anche un account X, che uso piuttosto meccanicamente per scopi, come si suol dire in questi casi, di rappresentanza.)

In BlueSky tutto è posato, ordinato, volutamente sobrio. In 300 caratteri devi dire tutto, e la cosa costituisce un fantastico vincolo creativo, tanto che mi sono posto una delle mie cosiddette domande stimolo: Sarebbe possibile spostare tutte le mie attività su BlueSky? Ovvero: Che senso avrebbe farlo?

Logicamente non mi riferisco alle attività strettamente professionali, che per forza di cose obbligano anche a sporcarsi le mani con account mainstream tipo Facebook, Instagram e appunto X. Parlo dei cosiddetti side project, ovvero di quelle produzioni che mettono in scena noi stessi attraverso un mix di aspetti ora professionali, ora personali, o addirittura ludici.

BlueSky ripropone in qualche misura il microblogging puro, quindi forza a riconsiderare l’idea di un social networking più sociale e meno mercantilistico. Una funzione che ricorda il caro vecchio Web 1.0…

In estrema sostanza, BlueSky, nella sua morfologia certamente versatile ma indubbiamente spartana, permette di fare solo cinque cose:

  • postare brevi aggiornamenti di stato, che appunto non possono superare i 300 caratteri, spazi compresi;
  • postare una o più immagini, con relativo commento se ritenuto opportuno;
  • rimandare a contenuti di altri siti, propri o altrui, sempre con relativo commento se ritenuto opportuno;
  • mescolare il punto due e il punto tre in un unico post, ovvero postare un commento che includa sia contenuti multimediali propri che link ad altri contenuti;
  • rilanciare e commentare post altrui interni alla piattaforma.

I 500 caratteri standard di Mastodon, per esempio, permettono quasi il 50% di verbalità in più, per non parlare di server come quello di Vivaldi Social, che pure nel microblogging si sono spinti alla simbolica cifra di 1337. Praticamente un articolo.

In BlueSky riconosciamo dunque una piattaforma estremamente più stringata, dove prediligere la sintesi, ovvero, all’occorrenza, la capacità di dirottare a contenuti esterni.

In ragione di tale carattere innegabilmente riassuntivo e veloce, ho deciso di utilizzare BlueSky come portale principale di me stesso, al fine di razionalizzare la lettura di un ipotetico lettore, o seguace che sia. In altre parole, BlueSky mi funge da first-gate, da primo approccio, che diventa approfondito solo se il lettore sceglie consapevolmente di approfondire. Una sorta di grande ritorno all’ipertesto come esperienza labirintica e sequenziale.

Agire o Comunicare?

Il mondo antico poteva banalmente permettersi il lusso del deserto. Un lusso che, peraltro, ricompare in misura certamente attenuata, ma comunque appetibile, anche se ricordiamo il passato — sia remoto che relativamente recente — e lo mettiamo a confronto con un presente in cui affollamento e caos sono onnipresenti.

Una domanda che mi assilla da tempo suona circa così: può la comunicazione “one to many” avere ancora senso nel mondo in cui viviamo, al di fuori della mera funzione commerciale in senso stretto?

La cosa ha a che fare col tempo. La disponibilità, abbondanza o penuria di tempo. Il tempo, oggi come oggi, è la vera risorsa scarsa, desiderata implicitamente da tutti. Il ricco meritevole non ha tempo per spendere i soldi. Il proletario meritevole non ha soldi per comprarsi il tempo. L’azione cade nel tempo, dunque abbiamo di fronte una chiarissima alienazione del tempo nel tempo. Una forma di alienazione uniforme, trasversale e tendenzialmente orizzontale. Se la fruizione di arte e pensiero necessita di tempo, allora non è più possibile, e si procede a selezionare dei surrogati, che progressivamente vanno a surrogare tutto, dalla politica all’informazione, passando per la cultura e la civiltà.

💡 Non posso fare a meno di pensarlo. L’intelligenza artificiale sembra essere stata progettata per fornire a degli zombie quelle minime capacità di ragionamento che, evidentemente, pure il sistema costituito ritiene irrinunciabili.

Nakamoto e il Sistema

Il mio amico Demetrio Battaglia direbbe (è il titolo di un suo recente pamphlet) che l’uomo è sotto attacco, anche se a mio avviso la dinamica è molto più banale. Il Sistema, inteso come sezione medio-alta della piramide del potere, si è reso conto che la moneta di Satoshi Nakamoto può fornire al singolo individuo — questo il concetto chiave — uno strumento potentissimo per emanciparsi, e dunque sta reagendo.

La reazione si esprime in numerose dinamiche del tutto ovvie e giustificabili: paletti normativi e fiscali, censure, disinformazione diffusa attraverso i canali mainstream, e via discorrendo. Ma non solo: Bitcoin, oggi come oggi, è chiaramente inserito in un’economia ibrida delle transazioni, che solo in minima parte segue la morfologia immaginata da Nakamoto: transazioni native di BTC da individuo a individuo (ossia, da wallet a wallet), punto, fine, stop…

Poco tempo fa ho parlato, per esempio, di come l’Europa stia provvedendo a rilanciare strumenti di controllo che farebbero rabbrividire lo stesso Grande Fratello di orwelliana memoria.

Ma questa tendenza a mio avviso si estende ben oltre il semplice e prevedibile campo delle normative e delle imposizioni dall’alto. Anche la stessa “agorà degli operatori di settore” (chiamiamoli così) sta ipotizzando aziende a base Bitcoin che secondo me risultano lontanissime dall’ideale originario che ha determinato la nascita del protocollo Nakamoto.

Ossia, intendiamoci. Nulla vieta ad aziende standard di conservare riserve strategiche in BTC, e non sarò certo io a demonizzare soluzioni centralizzate in grado di risultare conformi alla normativa, o di semplificare gli oneri fiscali che tali aziende sono costrette da sempre a rispettare. Il fatto è che Bitcoin non è immaginato solo per diversificare il portafoglio patrimoniale di un’azienda, che potrebbe nello stesso modo conservare oro fisico (o sottoscrizioni del medesimo, come oggi sembra essere di moda), oppure azioni Tesla o Apple. Confinarlo in questo angusto orizzonte significa, banalmente, non aver capito un bel nulla.

E qui arriviamo al dunque della mia argomentazione. Un dunque che riproduce peraltro il titolo stesso di questo mio blog.

Pensare a Bitcoin come all’asset primario per una rivoluzione “aziendale” significa necessariamente riformare il concetto stesso di azienda, che da euclidea deve diventare non euclidea. Nello specifico, il modello non può assolutamente essere quello dell’azienda contenitore di individui, ma al contrario quello di un nuovo sistema economico che coinvolge direttamente il singolo individuo come unità di input e output, protagonista del tutto emancipata da qualsiasi sovrastruttura pregressa.

Parliamo di un’utopia? Può essere. O meglio, parliamo certamente di un’utopia se pensiamo di poter convertire l’intero attuale sistema produttivo e industriale con la sola, banale e chiaramente insufficiente prescrizione dell’accettazione di Bitcoin come sistema di pagamento.

Accettare BTC come sistema di pagamento è certamente una cosa buona, ma ad oggi le dirette conseguenze di tale scelta possono solo cambiare la configurazione dell’economia individuale di chi — ammesso e non concesso di poterlo fare, cosa tutt’altro che scontata — ha implementato questo meccanismo, e non certo quella del sistema economico vigente e operativo, tanto meno su scala globale.

In altre parole, un’economia a base Bitcoin potrà nascere solo in ragione di un cambiamento radicale delle regole, ovvero di una loro eliminazione, a favore di quella che possiamo chiamare l’economia del buonsenso e della fiducia. Non per niente, ad oggi i primi operatori economici ad aver abbracciato il sistema di pagamento nativo in satoshi sono quelli più vicini all’idea dell’individuo sovrano: professionisti (avvocati, notai, commercialisti) ed esercenti in attività microimprenditoriali (bar, pubblici esercizi e affini).

Bitcoin è oro digitale scambiato a livello globale da persona a persona, senza mediazioni di sorta, a parte quella implicita del protocollo che remunera già i nodi attraverso un incentivo economico predeterminato. Questa semplice considerazione dovrebbe bastare a far capire che, in un ipotetico sistema “only Bitcoin”, l’idea stessa di un’imposizione fiscale non ha alcun senso, in quanto Bitcoin non viene emesso da alcuna banca centrale in grado di pretendere una remunerazione, e non ha senso neppure l’inserimento in questa o quella giurisdizione in termini societari e produttivi, visto che Bitcoin è strumento globale che funziona nello stesso identico modo a qualsiasi latitudine.

Certo, questa cosa ha senso se convertiamo poi BTC in euro o dollari, e allora siamo tutti d’accordo. Ma è questo che voleva Nakamoto?

Dark EU

La questione è semplice e lineare: l’Unione Europea, con la (solita) scusa della sicurezza dei cittadini, intende riproporre un suo piano per il controllo totale delle comunicazioni personali. Della serie, non bastavano le CBDC (euro digitale), non bastava l’economia genuflessa a decadenti poteri forti comandata non si sa bene da chi… Ora è la volta di una vera e propria organizzazione segreta stile P2 che, in maniera assolutamente sfacciata, oscura i nominativi dei suoi membri avendo molto a cuore la loro privacy, e un po’ meno quella dei cittadini.

In sostanza, un crimine legalizzato dall’alto per combattere un presunto crimine dal basso, laddove l’obiettivo da colpire sarà addirittura la crittografia.

Video da vedere, da cima a fondo…

A questo punto, l’idea stessa che queste faccende siano una questione politica diventa assurda, come assurda la pretesa di bloccare qualcuno che ha il potere di agire attraverso raccolte firme e altre idiozie che il potere lo mimano solo sulla carta, tanto per dare lo zuccherino drogato a chi pensa di contare qualcosa.

La faccenda assume ora una configurazione operativa del tutto diversa e alternativa rispetto a quello che abbiamo visto fino ad oggi, almeno a livello mainstream. Serve agire, non già mendicando il diritto alla privacy, quanto capendo che a monte la questione dell’anonimato è solo una reazione spicciola alla ben più estesa questione del potere.

La gente pretende privacy e anonimato solo perché c’è qualcuno che ha il potere di agire contro qualcun altro. Se questo potere fosse sabotato da un contropotere sufficientemente efficace, allora la privacy sarebbe un contorno, un surplus, e le persone potrebbero tranquillamente agire col proprio nome e cognome.

Dal mio punto di vista la questione è semplice. Strumenti come Bitcoin e affini si stanno rapidamente diffondendo, e il sistema finanziario basato sul debito e sul potere delle banche centrali si sta incazzando di brutto, scorgendo all’orizzonte la possibilità di una sua messa in seria discussione. Siamo agli inizi, certo. Ma già a questo livello il sistema sta mettendo le mani avanti, e queste sono le manifestazioni chiare di tale agitazione.

Paradossalmente, credo che la reazione a tali dinamiche debba essere di tipo soft. Piazze e picchetti abbiamo ormai (spero) capito che non servono a nulla, se non a irritare un popolo ormai formato da analfabeti funzionali. Il voto? Certo, un sistema politico può essere più o meno favorevole alla civiltà nel suo senso più pieno. Ma ormai siamo lontani dagli stati sovrani nati da costituzioni attive e portati avanti da gente meritevole e illuminata. La corruzione, più o meno, è al potere ovunque, e il caos mediatico rappresentato dall’overloading informativo (e disinformativo) nella Grande Rete mette in scena un mondo ormai allo sbando, che può solo peggiorare.

L’ulteriore paradosso è che si dovrebbe tornare a fare a meno della tecnologia di iper-comunicazione personale, limitandola all’essenziale. Piuttosto, usiamo le reti per gestire una nuova economia a base Bitcoin. Per il resto, abbandoniamo completamente lo zapping catatonico, i fuffaguru, le applicazioni scammer che promettono guadagni immediati, l’editoria spazzatura fatta da agenti AI che mirano solo a mendicare un click pubblicitario.

Quanto alle comunicazioni personali, che dire: torneremo alla carta e alla penna stilografica. La prospettiva, peraltro, non sembra neppure così malvagia.